Il giovane originario di Satriano racconta il suo percorso di crescita artistica, tra rigore e passione, e l’esordio nel ruolo di Dancairo nella Carmen di Georges Bizet: un momento atteso per l’intera scena lirica regionale
Tutti gli articoli di Cultura
PHOTO
Questa sera al Teatro Rendano di Cosenza il giovane tenore catanzarese Lorenzo Papasodero debutta nel ruolo di Dancairo nella Carmen di Georges Bizet: un momento atteso non solo per il teatro, ma per l’intera scena lirica regionale. Papasodero, nonostante la giovane età, ha già alle spalle un percorso solido. Ha interpretato ruoli come Rodolfo ne La Bohème, Turiddu in Cavalleria Rusticana, Pinkerton in Madama Butterfly. Nel suo paese natale, Satriano, un recente concerto ha confermato la sua crescita artistica, con applausi a scena aperta per la sua «voce potente e dal timbro luminoso». Tenore lirico in costante evoluzione, Papasodero è animato da una forte disciplina e da un evidente desiderio di perfezionamento. Le sue collaborazioni con teatri e festival italiani ed europei, tra cui il Festival Puccini di Torre del Lago, ne hanno consolidato la maturità interpretativa. La sua vocalità, calda e duttile, gli ha permesso di imporsi come interprete sensibile e rigoroso.
Una laurea in Ingegneria rimasta nel cassetto e un’unica direzione da seguire: la musica. Il 14 e il 16 novembre sarà al Rendano nel ruolo di Dancairo, e lo abbiamo raggiunto durante le prove per parlare di questo debutto e del suo cammino artistico. La replica è in programma domenica, alle ore 18: un’occasione da non perdere.
Come descrive la sua crescita degli ultimi anni?
«È stato un percorso di continua scoperta e maturazione. Ogni ruolo e ogni teatro mi hanno aiutato a comprendere meglio la mia voce e l’anima di ogni personaggio. Ho cercato di unire rigore e passione, imparando da ogni esperienza. Credo che la mia crescita derivi dal desiderio costante di migliorarmi e dall’emozione autentica che provo ogni volta che salgo sul palcoscenico».
Quando ha capito che la voce sarebbe diventata una strada da percorrere fino in fondo?
«Non c’è stato “quel” giorno. È stato un processo lento. Da bambino la voce era un gioco, poi è diventata bussola. Quando ho capito che la mia giornata era costruita tutta intorno allo studio, che mi sentivo vivo solo migliorandomi, allora ho capito che non era un talento da conservare, ma una strada da percorrere fino in fondo. E soprattutto: il dono, senza disciplina, non vale nulla. La voce è un punto di partenza, non un arrivo».
Il repertorio pucciniano lo ha messo spesso davanti a personaggi complessi.
«Puccini ti costringe a una sincerità emotiva enorme. La vera difficoltà non è mai l’acuto, ma scavare dentro parti molto intime di sé stessi e portarle in scena con lucidità e disciplina».
In quali personaggi si riconosce?
«Direi Rodolfo. Non per la parte romantica, ma per la sua natura di uomo semplice che crede di controllare la vita, e invece la vita lo travolge. E poi – sarò controcorrente – Pinkerton. È impulsivo, superficiale, sbaglia tutto. Molti colleghi evitano la sua psicologia. Ma proprio lì c’è l’umanità più fragile: l’incapacità di riconoscere il valore dell’amore mentre lo si vive, e scoprirlo solo quando è troppo tardi».

