Anche quest’anno, nel comune del Catanzarese si è rinnovata la tradizione del rito popolare che intreccia fede, folklore e identità collettiva, tramandato di generazione in generazione e ancora oggi capace di coinvolgere l’intera comunità e i cittadini dei comuni limitrofi
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Dicembre non è solo il mese del Natale. Santa Lucia, venerata come protettrice della vista e simbolo di luce e speranza, occupa un posto centrale nella religiosità popolare, soprattutto quella amaronese. La giornata del 13 dicembre è scandita da momenti liturgici, processioni e preghiere, ma accanto al sacro si sviluppa una dimensione popolare e festosa che rende questa ricorrenza particolarmente sentita.
“U Bagagghjiaddhu” (o Bagagghieddhu) è una rappresentazione folkloristica che vede protagonisti due grandi pupazzi: il Bagagghjiaddhu vero e proprio, che raffigura un asinello, e a zzia Rachela, una figura femminile. I pupazzi sono costruiti artigianalmente su strutture di canne e legno e rivestiti con grande cura.
Dopo lo spettacolo della zzia Rachela – terminata con l’esplosione della testa della donna – gli spettatori hanno assistito al momento culminante, il cosiddetto “ballo” del Bagagghjiaddhu, durante il quale uno dei partecipanti - dopo aver ottenuto il diritto tramite un’asta pubblica – ha portato il pupazzo sulle spalle e danzato in modo energico e vorticoso al ritmo della musica tradizionale, suonata dalla banda dal vivo. Quest’anno, ad essersi aggiudicato il titolo è Domenico, avendo offerto la notevole cifra di settecento euro. Un numero che dimostra la grande importanza di “ballare u bagagghjiaddhu” nell’anfiteatro Nicholas Green.
La danza è di solito accompagnata da un’atmosfera carica di entusiasmo: il Bagagghjiaddhu prende vita, mentre dal pupazzo fuoriescono fumi colorati, creando un effetto scenografico che cattura l’attenzione di grandi e piccini. Il rito raggiunge il suo apice con l’esplosione della testa del pupazzo, un momento atteso e accolto da applausi, grida e partecipazione collettiva. “Sembra di essere allo stadio” qualcuno direbbe per rendere l’idea di contentezza e agitazione positiva. E per concludere in bellezza, tutti con il naso all’insù per ammirare il meraviglioso spettacolo pirotecnico durato quasi 10 minuti.
Al di là dell’aspetto spettacolare, il Bagagghjiaddhu è soprattutto un rito di aggregazione sociale e un’espressione concreta dell’ingegno popolare amaronese. Alla base di questa tradizione vi è la memoria di Gregorio Muzzì. Noto in paese come “Gùari u Bumbaru”, era un artigiano che, con materiali poveri e di recupero, diede forma per anni ai due pupazzi. La sua opera non era soltanto creativa, ma profondamente legata alla vita quotidiana del paese: in un’epoca di grande povertà, il ricavato dell’iniziativa (che quindi vedeva la partecipazione dell’intero paese) veniva impiegato per garantire alla famiglia dei pasti completi a base di carne di maiale, un lusso altrimenti impensabile.
Quella del 13 dicembre ad Amaroni non è soltanto una festa: è una narrazione collettiva, un ponte tra passato e presente, tra sacro e profano. È il segno di una Calabria che ama raccontare se stessa attraverso i gesti, i suoni e le emozioni di una comunità che ogni anno rinnova la propria storia sotto la luce di Santa Lucia.




