Sanità, ambiente e lavoro. Sono questi i principali obiettivi dell’azione di Enzo Bruno, neo eletto al Consiglio regionale dopo un lungo impegno politico. Nei giorni scorsi l’insediamento a Palazzo Campanella, dove ha preso la guida del gruppo consiliare “Tridico Presidente”.

Una vita spesa per la politica. Ora si apre una nuova fase. Per cosa si batterà?

«Ho dedicato la mia vita all’impegno sociale e politico – dal Comune di Vallefiorita alla Comunità montana, fino all’esperienza alla guida della Provincia di Catanzaro – con un obiettivo semplice e molto concreto: migliorare la qualità della vita delle persone. Per me vuol dire una cosa precisa: servizi pubblici che funzionano, tempi certi, risposte misurabili. Oggi le tre priorità che stanno più a cuore ai cittadini in questa regione – e che saranno la mia agenda – sono sanità, ambiente e lavoro, soprattutto pensando ai giovani. Su questi tre assi si gioca la credibilità della politica in questa regione che, nonostante proclami e propaganda, resta marginale in tutti gli indicatori».

È da un po’ di anni che Catanzaro sembra aver perso la sua centralità politica all’interno della Calabria. Qualcuno parla di declino. Lei cosa ne pensa?

«La Calabria è o si sta avviando ad essere la regione più povera d’Europa e Catanzaro ne è purtroppo l’iconica rappresentanza. Catanzaro è una città in decadenza ormai da quasi mezzo secolo e il segnale evidente è costituito dal suo andamento demografico. All’inizio degli anni Ottanta la città aveva superato la soglia “psicologica” dei centomila abitanti che trasforma un centro qualsiasi in una importante città. Vent’anni dopo all’inizio di questo secolo quasi il 10% della popolazione non c’era più e questo primo quarto di secolo ha visto il venir meno quasi di un altro 10%. Quel che è più grave è che si registra un aumento dell’età media per una metà delle famiglie (composte al 60% da 1, 2 o 3 persone) hanno uno o più o tutti i figli che risiedono stabilmente fuori regione. Il fenomeno non è certo isolato ma a Catanzaro è particolarmente importante perché diversamente dalle altre città calabresi (che in qualche caso stanno puntando anche alla fusione di comuni limitrofi) vi è una urbanistica “diffusa”, un comune lungo 20 chilometri con decine di insediamenti abitativi separati da grandi spazi vuoti, I motivi sono complessi alcuni antichi altri più recenti: dallo storico capoluogo dimezzato con sede del governo a 150 chilometri dalla sede dell’assemblea legislativa all’inutile tripartizione della provincia che non ha dato alcun reale vantaggio a Crotone e Vibo Valentia ma ha certamente danneggiato quantomeno il ruolo e l’immagine di una città che non è completamente il capoluogo della regione e nemmeno quello di una grande provincia. Naturalmente queste amare considerazioni non devono rinchiudersi in un ragionamento di campanile, si tratta invece di voler ricreare a partire da Catanzaro un clima diverso da quello spesso rissoso del passato. Catanzaro è il capoluogo e deve esserlo anche nei fatti: capoluogo direzionale e identitario. È baricentrica per geografia, deve tornare baricentrica per funzioni. Tra le azioni su cui puntare c’è la necessità di concentrare servizi regionali e sportelli unici sul capoluogo, per semplificare la vita a imprese e cittadini. Poi penso alla valorizzazione della metropolitana che servirà a ricucire i quartieri, rendere la città più fruibile, superando la frammentazione del tessuto urbano. Ma è fondamentale un patto città–Università: l’UMG come motore di sviluppo, ricerca e trasferimento tecnologico – soprattutto in sanità – integrata con il territorio. Se ridiamo a Catanzaro un ruolo chiaro e visibile, torna la centralità politica. Non il contrario».

Quali sono le emergenze da affrontare a livello regionale e per Catanzaro?

«La madre di tutte le emergenze resta la sanità, in Calabria e a Catanzaro. Il problema non è solo di risorse: è di organizzazione, tecnologie e prossimità. Dobbiamo costruire un sistema che cura i calabresi in Calabria, riducendo la mobilità passiva e i viaggi della speranza. Come? Servono tecnologie e processi: La robotica chirurgica dove serve, diagnostica avanzata, intelligenza artificiale per la gestione delle liste d’attesa e dei percorsi diagnostico-terapeutici. La tecnologia non è un “lusso”: è ciò che accorcia i tempi, riduce gli errori e trattiene i professionisti migliori. Si parla di rete territoriale ma deve essere vera: case e ospedali di comunità che funzionino, medicina generale integrata, assistenza domiciliare e continuità assistenziale. È inutile avere ottimi reparti se poi il paziente, una volta dimesso, torna nel vuoto. E soprattutto bisogna tutelare e valorizzare il personale con stabilizzazioni dove possibili, concorsi attrattivi, tutela di chi lavora nei reparti. E tempi certi, la priorità resta l’abbattimento delle liste d’attesa i cittadini devono sapere quando faranno una visita o un esame, e a chi rivolgersi se il sistema non risponde. Il diritto alla cura continua ad essere negato in questa regione dove sempre più spesso le persone rinunciano a prendersi cura della propria salute o devono scegliere di non farlo nella propria terra».

Quale modello di sanità serve davvero a Catanzaro per rispondere alle esigenze dei cittadini e guardare al futuro?

«Catanzaro ha una tradizione ospedaliera che risale agli anni Sessanta e ormai dai primi anni ottanta anche una tradizione universitaria che, forse limitata nei volumi di attività, vanta una buona performance didattica, scientifica e organizzativa. L’unificazione tra i due mondi non sta avvenendo nel migliore dei modi perché si è trattato di una fusione a freddo che stenta ancora a realizzarsi in maniera compiuta. Il discorso di qualche anno fa di un corso interateneo che mettesse assieme l’esperienza clinica dell’UMG è quella tecnologica dell’UNICAL sembrava un esempio virtuoso di un modo diverso di fare le cose in Calabria ma è purtroppo fallito. Oggi si tratta allora di pensare in grande alla sanità di Catanzaro come strumento di servizio ai cittadini e di promozione complessiva della società. In questa logica il continuo discorso su un ipotetico nuovo ospedale sta diventando davvero patetico tanto più che decisioni precise non ne assume nessuno anche perché il primo problema è rappresentato dall’incertezza delle risorse disponibili. E’ chiaro che la scelta definitiva va presa di comune accordo fra istituzione e tuttavia quello che deve essere radicalmente diverso è l’approccio culturale alla questione. Tra Germaneto utilizzato al massimo delle potenzialità esistenti e fornito di un secondo Pronto soccorso e qualche modesto intervento di nuova costruzione in area Ciaccio e di ristrutturazione nell’ala sud del Pugliese non serve altro cemento e altri mattoni. Servono invece tante risorse per fare davvero non un nuovo ospedale ma un ospedale nuovo nella tecnologia, nella professionalità, nell’accoglienza. La robotica, l’intelligenza artificiale, l’informatica, la digitalizzazione sono gli strumenti veri per il rinnovamento della sanità calabrese e catanzarese con buona pace dei palazzinari di turno. Queste cose insieme con una riorganizzazione complessiva che integri i dipartimenti anche dal punto di vista logistico senza il ghetto ospedaliero di viale Pio X e quello universitario di Germaneto possono realizzare il salto di qualità. Anche il concetto dei due poli, presente peraltro in tante città importanti dal punto di vista sanitario può rappresentare una risposta positiva ad un territorio provinciale di difficile viabilità e mobilità. Un ultimo problema: nella raffazzonata proposta presentata a suo tempo a Roma la Regione ha previsto due sole case di comunità in città a Lido e a via Acri. E ‘chiaro che sono insufficienti perché lasciano scoperta tutta la zona a Nord e ad Ovest del capoluogo che tenderebbe naturalmente a continuare a rivolgersi all’Ospedale. Ma l’ospedale nuovo a cui pensiamo non può esistere senza un territorio efficiente».

L’altra emergenza che richiama spesso è l’ambiente. Perché?
«Perché l’ambiente è la nostra vita quotidiana: è l’acqua che beviamo, il mare e la montagna che dovrebbero essere le nostre grandi risorse di sviluppo, a partire dal turismo. Qui servono scelte nette: prima di tutto impianti di depurazione che funzionino, gestione efficiente, controlli veri e pubblici. L’alternativa è pagare due volte: in bolletta e in immagine. Dobbiamo pensare alla manutenzione del territorio: fiumi, torrenti, fiumare. Il dissesto idrogeologico non si combatte con gli annunci ma con piani di pulizia e messa in sicurezza periodici, responsabilità chiare e cronoprogrammi. Ed infine la questione rifiuti: tolleranza zero contro l’abbandono. È una piaga che deturpa la nostra bellezza naturale e scoraggia investimenti. Ci vogliono sanzioni efficaci, ma anche filiere del riciclo e del riuso che rendano conveniente comportarsi bene. La tutela dell’ambiente non è un “di più”: è salute, economia, lavoro».

Il centro-sinistra è in difficoltà, il PD fatica e l’astensione cresce. Come si riparte?
«Il centrosinistra deve essere lo strumento, la casa comune da costruire con sempre maggiore consapevolezza per creare una vera alternativa in Calabria e in Italia. Le difficoltà non sono mancate e non mancheranno, ma il processo di ricostruzione del campo progressista sta iniziando a mostrare risultati concreti: in alcune regioni abbiamo già vinto, in altre – come la Calabria – abbiamo perso, e ora resta da capire cosa accadrà in Puglia e in Campania. Il Partito Democratico è il perno del centrosinistra, o del “campo largo”, qualunque nome gli si voglia dare. Un PD forte è essenziale per costruirlo, ma allo stesso tempo ogni partito della coalizione deve mantenere la propria identità. Attorno a un programma chiaro, occorre tornare a parlare ai tanti cittadini che non votano più: quasi il 70% della popolazione. In Calabria siamo riusciti ad avviare, con Pasquale Trinico, un percorso positivo che ci porterà in tutti i territori – casa per casa, piazza per piazza, paese per paese – per recuperare il rapporto con gli elettori oggi lontani dalla politica. Solo così può rinascere una coalizione credibile. Dobbiamo guardare anche alle esperienze internazionali: a New York, il sindaco Mamdani è andato direttamente tra la gente, soprattutto tra i più poveri e i meno abbienti, per ascoltare e comprendere i problemi reali. In una regione come la nostra, le difficoltà sono evidenti: alta disoccupazione, giovani che non trovano lavoro, carenze nei servizi essenziali, un sistema sanitario in cui molte persone rinunciano a curarsi, sia per le inefficienze pubbliche sia perché troppo spesso le risposte arrivano solo dal privato, e non tutti possono permetterselo. La sinistra deve farsi carico di queste realtà, parlando dei problemi che incidono realmente sulla qualità della vita: la tutela dell’ambiente, la protezione delle risorse naturali, la montagna, il mare, il turismo. È da qui che deve ripartire la nostra proposta politica».

Come la spiega la sua scelta con Tridico le ultime regionali? Lei ha una storia importante nel PD.

«La mia vita politica è sempre stata coerente e radicata nei valori del centrosinistra. Negli anni il Partito Democratico ha attraversato momenti difficili, segnati anche da commissariamenti che, inevitabilmente, hanno generato divisioni profonde. In questo contesto, molti come me si sono ritrovati a prendere le distanze, non per allontanarsi dai valori, ma per difenderli. In questa campagna elettorale il Presidente Pasquale Tridico mi ha chiesto di mettere la mia esperienza e il mio impegno politico al servizio del progetto del campo largo. È stata una richiesta che ho accolto con convinzione, proprio perché Tridico rappresenta una figura capace di tenere insieme competenza, visione sociale e capacità di ascolto: un candidato alla presidenza che ha saputo riunire sensibilità diverse, costruire un percorso partecipato e riportare entusiasmo nel centrosinistra calabrese. Accanto a lui ho condotto una campagna elettorale esaltante, fondata su temi concreti e su una visione innovativa per la Calabria. Continuerò a portare quei principi e quelle battaglie dentro il Consiglio regionale, con la stessa coerenza che ha sempre contraddistinto il mio impegno politico. Il lavoro per la Calabria non finisce con il voto: inizia ora, nelle istituzioni, dove i problemi irrisolti – dall’occupazione alle emergenze sociali, dai servizi ai ritardi infrastrutturali – richiedono responsabilità, competenza e capacità di programmazione. Ed è proprio seguendo questa linea di coerenza e serietà che affronteremo anche le questioni che riguardano il Presidente Occhiuto, perché il ruolo dell’opposizione non è lo scontro fine a sé stesso, ma il controllo rigoroso, la proposta credibile e la tutela dei cittadini calabresi».

Un’ultima domanda sul presidente Occhiuto. Ha sfidato tutti, anche la sua stessa coalizione, ha sciolto il consiglio regionale cosa che non era mai accaduta nella storia del regionalismo, in nessuna parte d’Italia. E alla fine ha vinto nettamente. Questo significa che aveva ragione in tutto?

«Il Presidente Occhiuto ha compiuto una scelta senza precedenti, decidendo di sciogliere anticipatamente il Consiglio regionale: un atto mai verificatosi nella storia del regionalismo italiano. Alla fine ha ottenuto il risultato che voleva, è vero, ma questo non significa che avesse necessariamente ragione nel merito o nei modi. La decisione di anticipare la scadenza naturale della legislatura è stata – e continuo a ritenerla tale – una forzatura all’interno del normale equilibrio democratico. La motivazione era legata a un’inchiesta giudiziaria che coinvolgeva direttamente il Presidente: invece di attendere serenamente l’evolversi degli accertamenti, come molti di noi hanno fatto in passato quando si sono trovati in situazioni analoghe, Occhiuto ha scelto di andare alle urne prima del tempo. La Calabria, però, non aveva bisogno di una campagna elettorale anticipata di un anno. Aveva – e ha tuttora – bisogno di stabilità, programmazione, continuità amministrativa e risposte concrete ai problemi reali dei cittadini. Su questo punto resto fermo: la scelta di accelerare il voto non ha giovato alla regione e ha interrotto un percorso istituzionale che avrebbe dovuto proseguire fino alla sua naturale conclusione».